Racconti MARCO LONGHI scrittore writer

                      


NOI DUE


Mio marito ed io siamo sempre stati felici.
Non abbiamo mai avuto grandi pretese e ci siamo sempre accontentati di quello che avevamo.
La nostra intesa è sempre stata davvero notevole anche perché facevamo tutto, tutto insieme.
Eravamo amici, amanti, sposi, compagni d'avventura.
Forse per una forma di egoismo avevamo deciso di comune accordo di non avere figli, per cui ci attaccammo l'uno all'altra con grande consapevolezza (io non ho che te, tu non hai che me... non avremo un granché).
Il nostro era veramente un grande amore.
Passavamo intere giornate a letto, specialmente quando pioveva, amandoci, coccolandoci, rilassandoci, fumando, bevendo e chiacchierando in armonia e leggerezza.
Con i nostri amici di sempre, Ettore e Rebecca, facevamo bellissime vacanze in campeggio, in albergo, in villaggio.
Tante, sono state le attività sportive che con loro sperimentammo insieme: dal tennis, ping-pong, biliardo, al pattinaggio, allo sci, nuoto, al jogging, equitazione ed altro ancora.
E quanto ci siamo divertiti con il loro camper! Erano sempre bellissime grandi avventure.
Ricordo in particolare quando, passando nel centro di un paesino del Cuneese, facendo una curva un po’ troppo stretta, col camper spazzammo letteralmente via la tenda di un elegante bar: semplice: fu solo che quella volta … non prendemmo bene le misure ...! Venne poi il momento dei viaggi all'estero: con Max e Piera andammo in Kenia, in Senegal, a Cuba, alle Canarie e poi da soli alle Baleari, in Tunisia, Repubblica Dominicana, poi ancora con i cugini Rossana ed Cesare andammo a Cipro, e per finire ci regalammo anche una crociera nel Mediterraneo con gli amici delle bocce.
Ad un certo punto della nostra vita, senza un particolare motivo una nuova passione ci coinvolse a pieno, spassandocela fino all’inverosimile: la moto! In moto andammo fino in Sicilia e ricordo che quella volta fu un viaggio veramente molto “duro”! Ogni 200 chilometri dovevamo fermarci per il rifornimento ed io, in ogni bagno degli auto-grill, per la stanchezza, perdevo qualche pezzo del mio abbigliamento: prima il sotto-casco, poi un guanto ed poi altro ancora.
Arrivati a Palermo eravamo distrutti al punto che per la distrazione dovuta allo sfinimento, venimmo anche scippati da due ragazzini.
Ci avevano preso tutto, soldi e documenti.
Per fortuna eravamo lì con due amici pazzi come noi, che ci prestarono il denaro per pagarci la vacanza.
Viaggiare in moto è molto piacevole, si prova un senso di libertà incredibile tanto che anch’io volli imparare a guidarla! Mio marito subito mi accontentò, senza alcun problema.
Io, purtroppo, sono un po’ piccola di statura e visto che con i piedi non arrivavo a toccare bene a terra, era lui che ai semafori, sosteneva la moto con le sue gambe.
Mi insegnò a nuotare, a pattinare sul ghiaccio, a guidare il go-kart, ad usare la canoa singola e doppia.
Mi portò anche a sorvolare le isole Tremiti in elicottero; tutte cose che non avrei mai immaginato di poter provare.
Il segreto della nostra unione era quello di non annoiarci mai e di stare sempre insieme.
Bisogna anche tener conto del fatto che lui aveva accettato incondizionatamente tutti i miei amici ed io … avevo fatto lo stesso con i suoi.
Per questo motivo facevamo parecchie cene in allegria ed ovviamente venivamo in continuazione richiesti da vari gruppi di amici.
Non potrò mai dimenticare i Carnevali ai quali partecipammo sempre mascherati.
I nostri personaggi furono Lawrence d'Arabia, Cleopatra, Giulio Cesare ed ancella, Pirata dei Caraibi, la Zingara, Dignitari medievali, coppia di Pellirosse, di Balinesi, di Africani.
Mago Merlino e Maga Magò, Prete e Suora, e poi ancora altri che ora non ricordo.
Mio marito, poi, da sempre aveva una grande passione: le bocce.
Io lo seguivo e lo supportavo durante tutte le sue gare, sia in trasferta che in casa.
Ero l'unica moglie sempre presente a tutti i suoi incontri di tutti i tornei.
Sin dal mattino andavo a fare il tifo e moltissime volte tornavamo alla sera vincitori se non addirittura alla notte, sicuramente stanchi, ma terribilmente gasati ed euforici.
Che bei momenti …! Quando nel giugno del 2008 ad un campionato italiano il mio Lui, dopo ben 13 partite individuali arrivò in finale e, salito suo podio nel momento dell'Inno Nazionale, io... scoppiai in lacrime per la felicità (o forse si trattava solo di un mio inizio d’invecchiamento precoce! chissà?) Il mio amore: quante emozioni mi ha dato! Tutto procedeva bene, regolarmente, poi ... ad un certo punto iniziammo ad avere dei problemi.
Nel 2009 mia madre si ammalò ed un cardiologo, con scarsa professionalità, mi disse che le sarebbero restati solo tre mesi di vita.
Presa dallo sconforto e dello spavento, mi dedicai a lei anima e corpo, trascurando di conseguenza mio marito per nulla contento della situazione, anzi, spesso mi faceva alcune scenate poco piacevoli.
Mia madre andò ancora avanti tre anni! Per me non fu certo facile vivere quella situazione.
Questo, però, non era ancora niente! All'improvviso ci accadde quello che nessuno avrebbe potuto immaginare ... Era Aprile nel 2010.
Mio marito in occasione di una gara, si accorse che la boccia, pur essendo stata lanciata con la giusta forza, risultò essere molto corta.
-Strano!- pensò .
-Cosa sarà successo?- E un mattino mentre si faceva la barba, dalla mano destra gli cadde il rasoio.
Da quel momento iniziammo la trafila delle visite: -Sarà forse colpa di una infiammazione al tunnel carpale?-- No!- -Forse a quello ulnare?- -Neppure!- E via con le elettromiografie ecc. ecc.
Non risultava niente di anormale, finché una dottoressa si chiese: -Ma non si tratterà mica di un problema di carattere neurologico? Aspetti, voglio chiamare un mio amico-collega, il Dr. Stranamore; le fisso una visita, poi mi faccia sapere.
- Noi due non sapevamo assolutamente nulla sulle malattie neurologiche per cui ci recammo con fiducia e ottimismo all'Ospedale per la visita specialistica.
Eccoci quindi al cospetto del Dr. Stranamore, persona veramente squisita e disponibile, che dopo averci tranquillizzati, ci prescrisse una serie di visite e controlli di ogni tipo.
Nel giro di pochi mesi furono fatte: Pes; Pem; Pet; Tac; analisi del sangue di ogni tipo; visite neurologiche; psicologiche ecc. ecc.
Insomma, il mio amore fu girato e rigirato come un calzino.
Da quel momento incominciarono a sorgere dei dubbi: iniziammo per prima cosa ad aver paura, ma visto che si andava per eliminazione, per lo meno avemmo la certezza che non si trattava né di ictus né tumori cerebrali o altro del genere.
Ogni volta che ci recavamo dal medico, in qualche modo ne uscivamo leggermente rasserenati: sì, dovevamo stare tranquilli, si trattava di un problema ad secondo motoneurone, ma era una cosa della quale non ci si doveva preoccupare più di tanto.
Il male avrebbe potuto anche fermarsi, anche se comunque, si sarebbe trattato di una cosa piuttosto lunga.
Per ora, la questione era che si trattava di una lieve perdita di forza dalla mano destra.
Mio marito però, era seriamente preoccupato: vide su Internet che cosa fosse la SLA: la Sclerosi Laterale Amiotrofica, una malattia che non dava speranza! Ma no! tranquillo, non si trattava di SLA, era solo una sofferenza del motoneurone.
Lui, che è sempre stato un vero duro, decise di lottare già dall'inizio e, visto che la mano destra si stava indebolendo sempre di più, prontamente imparò a scrivere e fare tutto con la sinistra.
Ogni giorno faceva ginnastica e jogging; ogni giorno, per mantenere al meglio il tono muscolare.
Io lo ammiravo … ! La prima “gaffe” (almeno io la considero tale) fu fatta dalla “suonata” psicologa Eva Tonti, fra l'altro molto simpatica, la quale se ne uscì con un’asserzione decisamente poco delicata: -Sarebbe meglio iniziare da subito una pratica di invalidità, tanto per portarci avanti con la richiesta del letto speciale e delle varie attrezzature che, magari un giorno potrebbero rendersi necessarie … - Accidenti!!! Fu un vero pugno nello stomaco! Subito mi venne la nausea, ma poi volli reagire: - Assolutamente no!- dissi: -Non voglio minimamente turbare mio marito.
- Io ancora non lo vedevo come invalido, e non volevo farlo sentire tale; per me era sempre il mio meraviglioso uomo con un semplice piccolo problema alla mano.
Arrivammo alla fine del 2010; il suo braccio destro era diventato tremendamente magro, era ormai senza muscoli e la sua mano destra … inutile.
Comunque andammo ugualmente a festeggiare il Capodanno con i nostri più cari amici, e riuscimmo anche a fare qualche ballo, pur con una grande tristezza nel cuore.
Anche il Carnevale fu festeggiato in maschera, ma devo dire, con un’allegria molto forzata.
Assolutamente l'atmosfera non era più la stessa! Di certo la nostra vita cambiò notevolmente, e in peggio naturalmente, ma la sensazione che avevo era che quando si trovava in mezzo agli amici, lui fosse un po’ più sereno e che addirittura riuscisse, anche per un solo momento, a non pensare alla malattia.
Una volta al mese andavamo al Centro Neurologico per le visite di routine e lì, in attesa del nostro turno, incontravamo altri “colleghi” più o meno gravi ma tutti con lo stesso orrendo problema.
Arrivava gente da Bologna, da Roma, da Napoli, dalla Sicilia, indistintamente tutti in cerca di una speranza.
Devo ammettere che in questo centro i medici erano esageratamente gentili e cordiali con i pazienti, al punto che quasi ci facevano sentire coccolati.
Fu proprio in una di quelle circostanze che, vedendo arrivare un ragazzo sulla sedia a rotelle letteralmente ricoperto dall’affetto del Dott. Stranamore, della strana e pazza Tonti, della bella ma glaciale dottoressa Cornelia, ed addirittura anche da Sua Maestà il primario Dott. House, mi venne un brivido a raggelarmi il cuore: capii che la SLA era una malattia incurabile e che tutto lo staff medico era impotente! Certo, facevano del loro meglio, ma tutto era assolutamente inutile! Mi resi conto che i malati erano soltanto cavie e oggetti di studio per le loro statistiche! Null’altro! A quel punto entrai in piena crisi, ed anch’io ebbi l’impellente bisogno di curarmi.
Iniziai con gli antidepressivi, ma il miracolo non si verificava.
Ero sempre troppo infelice! Non facevo che piangere e disperarmi, cercando di non farmi vedere da lui che era nelle mie stesse condizioni psicologiche, se non peggiori.
Con me, doveva anche fare il duro o per lo meno, fingeva di non preoccuparsi più di tanto.
Per staccare un poco, decidemmo di andare una settimana all'Isola d'Elba, dove subito a causa dello stress nel quale mi trovavo, mi venne il “fuoco di Sant'Antonio” causandomi delle fitte terribili alla testa.
Credevo di impazzire! Non potemmo neppure goderci un attimo di quella vacanza e ci chiedevamo perché ci stesse capitando tutto ciò.
Eravamo disperati e piangevamo abbracciati in riva al mare.
Ci era crollato il mondo addosso.
Avevamo perso completamente il nostro equilibrio.
Era terribilmente difficile convivere con le nostre emozioni, peraltro tutte negative.
Non so nemmeno quante volte avrei voluto scappare; prendere la macchina ed andare, andarmene via senza una meta.
Ormai ero carica di troppe responsabilità e pressioni psicologiche.
Egoisticamente, il mio unico desiderio era: morire prima di lui! Finalmente poi, ecco l'insperato incontro con la fantastica psicoterapeuta dott.
ssa Claudia Pazzini! Mi piacque subito.
Lei all'inizio era estremamente dura con me.
Mi strapazzava malamente.
Poi, devo dire che piano piano, dopo aver instaurato un rapporto di fiducia reciproca, questa piccola e meravigliosa donna, mi fece capire e mi fece reagire dandomi una nuova forza di andare avanti.
Pur nella disperazione trovavo ancora dei momenti di felicità con mio marito, anche quando a letto me lo stringevo tra le braccia e percepivo addirittura le fascicolazioni ed i movimenti strani dei suoi muscoli in sofferenza.
Per un’ennesima volta pensavo che sarebbe stato molto bello e molto facile prendere entrambi una pastiglia di cianuro, lasciarci andare insieme e … ! Che soluzione meravigliosa! Lui però non era d'accordo! Non voleva che io desiderassi anche la mia morte.
Questo per me, diventava molto pericoloso e la dottoressa Pazzini cercava di spingermi ad uscire da queste sensazioni così intense; quindi mi consigliava di reagire e di pensare un po’ di più a me stessa! Cercava di convincermi che sarebbe stato un vero peccato per me cercare la morte, dal momento che avevo ancora qualcosa da dare, e da ricevere, grazie alle belle persone che mi circondavano.
Si riferiva a mio fratello, per il quale lei nutriva una forte e simpatica attrazione; si riferiva alle mie fantastiche cugine, che tanto affetto avevano saputo dimostrarmi; si riferiva anche ai miei carissimi amici che facevano di tutto per sostenermi.
Nel marzo 2011 andammo ai Caraibi.
Mio marito stava ancora discretamente, per cui ci sforzammo di trascorrere una vacanza serena.
L'albergo era favoloso, la spiaggia ed il mare meravigliosi e noi cercavamo di rilassarci al massimo.
Lui riusciva ancora a nuotare ed a fare delle lunghe passeggiate sulla spiaggia, anche se il pensiero era sempre fisso sulla malattia, ma insomma, bene o male, qualche momento sereno siamo riusciti a trovarlo.
Lì, era davvero un paradiso terrestre e devo dire che quella esperienza ci voleva proprio! Potrei anche dire che mio marito non mi sembrava nemmeno malato, se non fosse stato per il fatto che ormai a tavola dovevo tagliargli la carne e pulirgli il pesce nel piatto.
Pazienza …! Adesso potrei affermare che sarebbe stato da metterci la firma, a rimanere almeno così...! Invece, impietosamente la malattia avanzava.
Nel frattempo era finalmente uscita la possibilità di partecipare all' Epo trial.
Una sorta di esperimento con il quale ad alcuni malati veniva somministrato un farmaco ed ad altri, un liquido con semplice effetto “placebo”.
Si trattava di un esperimento del quale nessuno (medici compresi) sapeva a chi era destinato un liquido e a chi altri andava l’altro.
Quante speranze ed entusiasmo abbiamo messo in questa nuovissima opportunità … Mio marito subito si offrì come volontario.
Ogni 15 giorni gli veniva fatta una iniezione che speravamo fosse di Epo.
-Accidenti!- dicevamo! -Eppure si dovrebbe sentire qualcosa, dopo che il liquido era entrato in circolo nel sangue!- E invece … niente! Di nascosto e privatamente, facemmo le opportune analisi alla ricerca di uno sperato cambiamento di valori, così purtroppo, capimmo che a lui era capitato il placebo e non l’ipotetica cura.
Che sfortuna! Un'altra incredibile e terribile delusione! Un colpo di grazia al nostro già debole morale.
Intanto la nostra vita cercava di continuare fra alti e bassi.
Il mio amore diventava sempre più nervoso, irascibile ed il mio unico sfogo era quello di scappare da casa e di andarmene a fare un giro nel parco.
Quante volte ho urlato il mio dolore in mezzo agli alberi! Anche in auto, mentre guidavo, singhiozzavo e urlavo.
Sì, mi comportavo come una pazza ... e poi, tornavo a casa e con pazienza fingevo e, tiravo avanti.
Anche lui cercava di non essermi troppo di peso.
Un uomo meraviglioso che non si lamentava mai e che cercava di fare tutto da solo per disturbarmi il meno possibile.
Purtroppo gli subentrarono peggioramenti caratteriali: è proprio vero che non sempre chi ha carattere, ha un buon carattere! Tra noi le cose avevano già iniziato a peggiorare.
Dovevo dedicarmi a lui in maniera totale, ma in verità non mi sentivo all’altezza delle sue esigenze; anzi, mi sentivo del tutto inadeguata.
Ogni giorno gli facevo fare ginnastica alla mano, al braccio, ed alla gamba destra per tentare di evitare che i muscoli si atrofizzassero completamente.
Purtroppo a volte, dopo averlo accompagnato e sistemato in bagno, mi dimenticavo di lui e magari dopo mezz'ora mi chiamava; all'inizio dolcemente (accompagnando con la parola “amore”), poi sempre più innervosito urlava forte il mio nome, fino ad arrivare a prendere a stampellate i sanitari, la porta, il muro ed io … niente! Continuavo i miei lavori in cucina poi, dopo un po’ mi presentavo a lui con il sorriso chiedendogli se per caso avesse bisogno di aiuto.
E che dire quando, mentre lo sostenevo, inciampavo nel suo piede destro tutto buttato in fuori? Si arrabbiava di brutto e mi accusava di essere troppo disattenta nel rispetto alle sue necessità.
Povera me! Ora mi viene in mente una sera, che come al solito mi addormentavo sul divano durante un programma televisivo lui, che non riusciva mai a dormire, a mezza notte mi svegliava per farsi dare le ultime pastiglie e per essere accompagnato a letto.
Era agitato perché non riusciva a rilassarsi, ed io dopo averlo preparato e sistemato per la notte, con dolcezza gli chiesi: -Amore, vuoi che rimanga accanto a te fino a che non ti addormenti?- Lui con cattiveria mi rispose che avevo già russato a sufficienza e che avrei tranquillamente potuto ritirarmi in camera mia per non disturbarlo ulteriormente! A quel punto, come si dice, dalla rabbia non ci ho più visto! Ho iniziato a mandarlo a quel paese con parolacce da buttero toscano.
Nel silenzio della notte sicuramente mi avranno sentito anche i vicini di sopra, di sotto e di lato.
-Accidenti, com’è fine la signora e che bel linguaggio!- avranno sicuramente pensato! Sbattendo la porta me ne andai a dormire nella mia cuccia da cane.
Intorno a noi, iniziava a crearsi un preoccupante vuoto e questo, assolutamente non ci faceva bene.
Con tanta buona volontà lo accompagnavo a trovare i suoi amici, ma lui si stancava troppo e lo riportavo in fretta a casa.
Inoltre, tutti quanti gli chiedevano informazioni sulla malattia e lui, pazientemente, spiegava loro la situazione, ma nel contempo si amareggiava sempre più.
Io ormai mi stavo dedicando a lui totalmente, con tutta la mia pazienza ed il mio amore.
Gli facevo il bagno, gli lavavo i capelli, gli facevo la barba, mi occupavo delle sue necessità giornaliere, gli facevo anche tante iniezioni terribili e dolorose , il tutto riuscendo anche a farlo ridere per tutte le cazzate che inesorabilmente finivo per commettere.
Terribile dirlo: Lui si fidava solo di me! A giugno 2011 ci fu la sua prima caduta al mercato mentre accompagnava la sua mamma ultra- novantenne a fare a spesa: inciampando sul marciapiede ruzzolò a terra.
Venne aiutato a rialzarsi dalla gente di passaggio: la cosa si risolse con solo un po' di spavento, ma con molta vergogna.
Nel mese di luglio, dietro i consigli della mia psicoterapeuta, la dott.
sa Pazzini, ci concedemmo una settimana al mare, al Lido di Camaiore.
Iniziammo subito con una spettacolare caduta al nostro arrivo, inciampando nella moquette dell'albergo all'uscita dell'ascensore, e poi subito dopo con un'altra caduta sulla battigia, quando una piccolissima onda gli scavò la sabbia da sotto il suo piede indebolito.
Io ero davanti a lui e con grande spavento mi resi conto che avrebbe anche potuto morire annegato soltanto in una miserabile pozza d'acqua.
Pur se non ancora molto evidente, la gamba destra oramai iniziava a dare seri problemi.
Comunque, stoicamente, lui fingeva di nulla e continuava a cercare di condurre la vita con normalità.
Che forza aveva il mio Tesoro! Io, invece mi sentivo sempre più una povera derelitta.
Mi sentivo morire dentro, e dovevo sforzarmi di fingere, almeno con lui che, in questa manfrina era molto meglio di me.
Avevo perso tutta la gioia di vivere, ero diventata un'altra persona, anche fisicamente non avevo più lo smalto dei tempi passati.
In qualche modo passò anche il mese di agosto naturalmente senza gioia, ma abbastanza serenamente.
Io lo accompagnavo a vedere alcune gare facendo di tutto per coccolarlo ed aiutarlo ...tutto sommato, era ancora bello e accettabile.
In settembre, sempre su sollecitazione della mia psicoterapeuta che mi faceva capire di dover approfittare del momento favorevole, decidemmo di andare in Sardegna con Rossana e Cesare, che oltre ad essere cugini, sono anche nostri preziosi amici.
Trovai un comodissimo albergo proprio sulla spiaggia a Porto Conte e tutto era ok.
Non ci stancammo neppure troppo, visto che per il viaggio avevamo scelto l'aereo.
Le camere erano al piano terreno, con vista mare e con spiaggia vicinissima.
Stavamo bene in ottima compagnia; riuscimmo anche a divertirci.
Ci accorgemmo, però che, quando lo portavamo sul pedalò per una piccola escursione tra le onde, lui si sentiva semplicemente un oggetto.
Non poteva più partecipare al nostro entusiasmo ed in fondo non desiderava altro che arrivasse il fretta l’ora di essere riportato a riva.
Una sera c'era un forte vento di Maestrale.
Stavamo per entrare nel ristorante quando aprimmo la porta, a causa della corrente, lui che era davanti a me, improvvisamente mi cadde addosso ed anch’io, vestita in abito da sera, con tacchi altissimi, naturalmente rovinai a terra mostrando al pubblico una scena quasi ridicola, se non penosa.
Fortunatamente non ci facemmo troppi danni: lui si prese un'occhialata che gli fece sanguinare leggermente il volto ed io, dolorante ad una spalla e ad un'anca, l’aiutai a rialzarsi.
Ci recammo con la maggior indifferenza possibile al nostro tavolo, in mezzo agli sguardi attoniti e stupefatti degli altri ospiti.
Che umiliazione, ma soprattutto che brutto segno! Si rendeva necessario tenere quella gamba sempre più sotto controllo.
In ottobre, mio marito riusciva ancora a condurre una vita parzialmente normale e tutto sommato si sentiva ancora in condizioni accettabili per poter rimanere in casa da solo.
Io ero molto impegnata con la mia mamma che era gravissima.
Fu così che, mentre l’accudivo (in realtà giocavamo a briscola e spesso la lasciavo vincere), ricevetti una telefonata da mio marito: mi pregava di tornare subito perché era caduto e non riusciva più ad alzarsi, essendo solo in casa.
Arrivai forse in meno di un quarto d'ora e, prima di entrare in casa, vidi un signore robusto che si trovava lì sotto e, spiegandogli sommariamente la situazione, gli chiesi di aiutarmi.
Appena aperta la porta vedemmo il mio amore sdraiato a terra sul tappeto che col telefonino stava prendendo accordi col 118.
Cadendo sul pavimento del balcone aveva battuto la testa e poi si era trascinato per ben 11 metri soltanto con un braccio e la gamba sinistra, per poter arrivare a un telefono.
Era spossato e vomitava! A parte la gran botta, dalla situazione di quel momento ne uscì inspiegabilmente con la completa perdita dell'olfatto, mai più recuperato! Tutto ciò, almeno mi consentì di poter fumare di nascosto senza che lui se ne accorgesse e che poi mi rimproverasse.
A questo punto mi resi conto che non poteva più essere lasciato solo, neppure in casa.
Nel frattempo la mia adorata mamma peggiorava a vista d'occhio.
Con mio fratello la portammo all'ospedale per un controllo dove fu trattenuta per alcuni giorni.
Stavano per dimetterla quanto i medici si resero conto che era malata terminale.
Lei voleva morire in fretta, ma soprattutto per fare in modo che io potessi essere libera di dedicarmi totalmente a mio marito.
Pregava i medici di aiutarla ad andarsene (ma niente da fare, bisogna crepare con il massimo del dolore possibile).
Io soffrivo maledettamente.
Avrei voluto stare con lei all'ospedale e nello stesso tempo volevo essere a casa con mio marito.
Improvvisamente mi salì la febbre a 40° con delle terribili fitte alla testa.
Temendo che potesse trattarsi di meningite, mi feci portare da mio fratello al pronto soccorso dell'Ospedale e naturalmente dovemmo lasciare mio marito a casa da solo.
Quanta tristezza! Lui, in quel momento, nel vedermi andare via si sentì certamente impotente ed abbandonato.
Mi fecero una tac; mi sentivo finalmente un po’ tranquilla, perché ero sedata, e lontana dal mio “tiranno”.
Ad certo punto però, si spalancò una porta.
Lo vidi entrare, sostenuto dal nostro amico Ettore.
Stava arrivando da me preoccupato ed agitatissimo.
Povero amore mio! Era disperato, e pur di starmi vicino si era fatto accompagnare al pronto soccorso per cercarmi! Mi venne da piangere …! La dottoressa di turno disse che dagli esami era emerso che, oltre a un ritorno del “fuoco di S.
Antonio” avevo la polmonite.
Non potendo lasciare mio marito da solo, non accettai il ricovero e prima di tornarcene a casa, passai con mio fratello a salutare la nostra mammina ricoverata proprio nello stesso ospedale, al secondo piano.
Avevamo scelto il pronto soccorso dell’ospedale dove già si trovava la nostra mamma, in previsione di poterla vedere! Erano le 11 di sera e lei, nella penombra era ancora ben sveglia, ma sofferente.
Ricordo che, dopo averle raccontato che ero stata al pronto soccorso, mi disse piangendo: -Mio Dio, ma non ne usciamo più!- Davvero, anch’io non sapevo più cosa pensare.
Mi curai in casa soffrendo terribilmente per non poter correre da mia madre che, in fin di vita, le stavano somministravano da giorni la morfina e lei teneva duro.
Non riesco ancora a dimenticare le sue urla, ogni qualvolta le infermiere dovevano medicarla.
Io scappavo fuori dalla camera, addirittura mi nascondevo nel salotto ricreativo, ma la sentivo ugualmente.
Singhiozzavo, mi tappavo le orecchie, ma non potevo fare niente per lei.
Dopo tanto soffrire ... la mamma ci lasciò.
Prima di andarsene mi ripeteva: -Ma cosa facciamo con quel bambino?- Nella sua condizione mentale, di sicuro si stava riferendo a mio marito.
E poi, una sera mio fratello mi chiamò …! Che grande dolore fu per me perdere la mia mamma che era anche stata la mia migliore amica! Per quasi tre anni, mentre l’avevo accudita ci eravamo raccontato tutto, ridevamo e piangevamo insieme.
Prima, quando era ancora a casa sua, io mi coricavo sul letto accanto a lei e le tenevo la mano.
Mi sentivo davvero molto sola; mio marito era a casa con il nostro grande pietoso amico Ettore, mentre io mi recavo alla camera mortuaria ad accarezzare per l'ultima volta la mia mammina.
C'eravamo soltanto mio fratello ed io.
Max ebbe la splendida idea di mettere come sottofondo un cd di una dolcissima musica fatta di giochi pioggia e di temporali ed insieme l’ascoltavamo seduti di fronte alla nostra adorata madre.
Restammo tre ore a parlare di lei e della nostra infanzia con lei, senza accorgerci del tempo che passava, fino a quando un addetto ci avvisò che era giunta l’ora della chiusura.
Al funerale vennero le mie splendide cugine che veramente mi avevano dato molto conforto.
Capii allora che se mai avessi avuto una minima possibilità di uscire da quella situazione, sicuramente l'avrei dovuta a loro, alla loro simpatia, alla loro forza, alla loro leggerezza nell'uscire dalle disgrazie, e alla loro gioia di vivere.
La Rossa è davvero speciale ed unica, la Elena è simpaticissima, la Milli è immensa.
Sono fiera di loro e fiera di essere la loro cugina.
Dopo la cremazione andammo tutti al ristorante (con mio marito sulla carrozzina), parenti ed intimi amici a onorare la mamma, sapendo che lei ne sarebbe stata molto contenta.
C’è una cosa, però, che mi manca: e che non ebbi mai neppure il tempo di piangere mia madre, visto che già dovevo piangere per mio marito.
Una sera di dicembre mentre mi preparavo per andarmene a letto, improvvisamente sentii un tonfo.
Mio marito era steso a terra in un lago di sangue.
Era a terra e aveva battuto la fronte.
Io piangevo dallo spavento e lui, mentre mi tranquillizzava, mi dava ordini secchi: -Vai a prendermi del ghiaccio, il disinfettante, il cotone, ecc.
- Poi mi diede altre ferme istruzioni su come girarlo e sollevarlo.
In qualche modo ce la feci, ma fu una cosa veramente terribile.
Il giorno dopo, tanto per fare qualcosa di diverso, andammo al pronto soccorso.
Per fortuna niente di troppo serio.
Ora, mi torna anche alla mente, che a mio marito piaceva molto visitare i centri commerciali, soprattutto nel periodo prenatalizio.
La mia amica Paola ed io, decidemmo di accompagnarlo con la sedia a rotelle.
Io, in verità, avevo alcune perplessità sul fatto di utilizzare le scale mobili, ma la fisioterapista sorridendo mi assicurò che avremmo potuto farcela tranquillamente.
Fu così che salimmo sulla scala mobile in allegria, ma quando arrivammo alla fine della corsa, io mi premurai di togliere prontamente dapprima il freno alla ruota sinistra, ma poi non riuscii a sganciare quello di destra.
La carrozzina frenata veniva indietro, addosso a me.
Ci fu un attimo di panico e Paola, che si trovava alla mia destra, cercò di arrivare al freno ma per nostra sfortuna, cadde a terra.
Nel frattempo la gente dietro stava arrivando e pressava; noi facevamo da tappo e non riuscivamo a sbrogliarcela.
Fu così che mio marito, da solo riuscì a scendere dalla carrozzina ed a togliersi dagli impicci, poi qualcuno mi spinse fuori e qualcun altro aiutò Paola a rialzarsi.
Che spavento! Ma soprattutto che figura … ! Da allora non uscimmo mai più con la carrozzina; a parte una sola volta ancora! Sempre in dicembre andammo a vedere un’ennesima gara di bocce vicino a Torino: a Cumiana, dove purtroppo vi erano delle scale da fare, per cui mio marito venne pietosamente portato di peso da alcune persone e sistemato in tribuna.
So che lui si vergognò terribilmente, una volta di più.
Si sentiva come se fosse solo un pacco da spostare.
Dopo quel giorno, decise anche di non uscire mai più di casa se non per le visite.
Ormai le forze lo abbandonavano e lui trascorreva sempre più tempo coricato.
Il Natale lo trascorremmo in casa di mio fratello dietro una sua grande insistenza.
Oltretutto, Max e Piera avevano appena fatto ristrutturare il loro appartamento e ci tenevano molto che noi lo vedessimo.
Che meraviglia !… Un bagno nuovo e moderno, un salotto particolare con il caminetto acceso ... l'albero di Natale addobbato con estremo gusto, insomma tutto molto, molto accogliente.
Devo dire che su di me, il caminetto suscita un grande fascino: avrei sempre voluto fare l'amore per terra su una pelliccia davanti ad un caminetto acceso.
Non ho mai avuto un'occasione del genere: peccato, con le tante cose che avevamo provato, quello resterà soltanto un sogno.
Abbiamo comunque trascorso un Natale in serenità, ma che fatica portare il mio amore su e giù dal primo piano senza ascensore! Senza Max ed Ettore non ce l'avremmo mai fatta.
Che bello avere tanti amici meravigliosi che ti stanno vicino! Paola, ad esempio, fa di tutto per me: in quel periodo mi portava a casa perfino dei cibi pronti (temendo, a buona ragione, che io non cucinassi nemmeno più); Ettore ed Rebecca, che soffrivano terribilmente per noi, sono tuttora sempre disponibili; c’era Fiore, che veniva a fargli compagnia e per raccontargli tutte le novità , mentre Mauro, il suo ex socio alle bocce, gli telefonava continuamente.
Ormai io faccio pena a tutti con questa mia faccia dolorante e con le lacrime che mi scendono mentre parlo.
Qualcuno addirittura mi evita! Mi faccio pena da sola per la mia debolezza che mi ha fatto fare parecchie cazzate! Un giorno, piangendo come tante volte mi succedeva, abbracciai il mio amico Ettore e gli dissi che gli volevo bene.
Rimase impietrito come un merluzzo pensando chissà cosa e rivolse uno sguardo smarrito verso sua moglie.
Dissi al mio amico Camillo che avevo bisogno della sua spalla per piangere, ed anche lui rimase spiazzato trovando difficoltà nel confortarmi.
E' vero, ora mi telefona spesso, ma ciò non toglie che rimane sempre un po’ impacciato.
Con la mia disperazione turbai Franco, un mio ex fidanzato del periodo adolescenziale e anche lui, dopo un breve imbarazzo, per un attimo mi strinse forte tra le sue braccia.
Anche in bocciofila qualche amico di mio marito viene a baciarmi per farmi coraggio.
Con Rebecca mi faccio dei pianti disperati, mentre la Terry trova sempre le parole giuste per tirarmi un po’ su il morale.
Quanto mi dispiace far carico della mia angoscia a coloro che mi vogliono bene, ma altrimenti a chi dovrei rivolgermi se non a loro? Il Capodanno 2012 lo passammo da soli: una cenetta, lo champagne, e … niente sesso.
Comunque rimanemmo vicini vicini nel nostro lettone.
Fu molto bello anche così.
A volte, non riesco a credere che ci sia successo tutto questo.
Ancora oggi, mi capita di svegliarmi al mattino convinta che sia stato tutto un brutto sogno.
Poi … faccio i conti con la dura realtà.
Non voglio nemmeno pensare a cosa potesse passare per la testa del mio amore quando, coricato sul suo letto non riusciva a prendere sonno! Mi vien male solo ad immaginarlo.
Certo è che, con il passare del tempo, lui cercava di allontanarmi.
Addirittura arrivò a “cacciarmi” dal talamo con la scusa che russavo.
Per me era davvero terribile dover dormire in un letto in una camera da zitella, mentre avevo ancora tanto bisogno di lui.
Ero terrorizzata dall’idea di perderlo! Avrei voluto baciarlo, stringerlo fino a fargli male, accarezzarlo, ma temevo di dargli fastidio.
Avrei voluto fargli capire che lo amavo disperatamente anche così! Ma lui non si sentiva più un uomo e mi allontanava.
Arriviamo a febbraio 2012: lui davvero non ce la fa più.
Mi disse che se davvero lo amavo, avrei aiutarlo ad andarsene il più velocemente possibile.
Tramite l’aiuto un suo amico, riuscì a contattare la Exit-Italia ed avere tutte le informazioni necessarie.
Poi attraverso Internet e seguendo le direttive forniteci dalla Exit, contattò direttamente la Dignitas in Svizzera.
Con il gelo nel cuore, gli diedi una mano a preparare la pratica per la morte volontaria.
Pensavo che non fosse facile, eravamo convinti di dover inviare chissà quante scartoffie.
Certo che c’era bisogno di documentare al massimo la malattia, ma il vantaggio, lo scoprimmo, era che essendo affetto da Sla, mio marito era praticamente certo di essere accettato alla procedura svizzera.
Inaspettatamente, ma finalmente arrivò “la luce verde” e, da quel momento mio marito divenne addirittura euforico: Riprese a ridere e scherzare in continuazione! Incredibile: Era tornato ad essere “normale”.
Ricordo bene quel momento! anche sul suo viso, ultimamente “tirato”, ricomparve la serenità; un po’ come se avesse scoperto di essere guarito! Finalmente riuscivamo a vedere una luce in fondo al tunnel.
Anche i nostri dialoghi, magicamente erano tornati ad essere … sereni! Ora sapevamo che tutto dipendeva soltanto dalla scelta della data di quando fare il grande salto: di quando scrollarsi definitivamente la malattia: di quando morire! Che amore! In un primo momento volle scegliere il giorno del mio compleanno! Mi viene da piangere a pensare che avrebbe voluto regalarmi la migliore libertà che desiderava per me! Mandò una mail con la precisa richiesta di quella data, ma “purtroppo” o per fortuna non era più disponibile.
Non si perse d’animo, scelse allora la data del 25 Aprile! L’emblematico giorno della Liberazione.
Sì, giusto, mi avrebbe liberata quel giorno.
Una Liberazione per entrambi! -Non c'è tempo da perdere, bisogna organizzare tutto.
Ci servono dei testimoni.
I nostri più cari amici vogliono esserci, vogliono tutti venire con noi … - Poi si aggiunsero anche Elisa e Umberto che abitano in Svizzera perché sanno che a Zurigo si parla solo il tedesco e quindi ritengono di poterci essere d'aiuto.
Purtroppo dovemmo dire ad alcuni amici che erano esclusi; saremmo stati troppi! L'albergo, senza alcun problema fu prenotato solo per tutti i “prescelti” e … così venne il giorno della partenza.
Posso dire che tutti noi eravamo terrorizzati dal fatto che sarebbe stato un viaggio allucinante sia per non sapere quale atteggiamento tenere e sia per aspettarci un suo comportamento sicuramente inusuale, ma soprattutto perché andavamo incontro ad una morte … Tutto surreale! Ma devo dire non conoscevano ancora bene mio marito.
Prima cosa, non si voltò mai indietro, neanche quando, appena partiti, non volle dare neppure un ultimo sguardo alla nostra casa; ma poi, non fu mai triste, né tantomeno pesante! Scherzava con tutti, anzi dava l’idea di essere addirittura gasato.
Durante il tragitto trovammo un tempo incredibile: sole, pioggia, temporale, neve sul Gottardo e poi ancora un arcobaleno all'arrivo.
Tutto questo in onore del mio uomo, per il suo ultimo viaggio.
Alla sera andammo tutti insieme a cena al ristorante (lui a capotavola sulla sedia a rotelle) dove riuscimmo anche a ridere e brindare.
No potrò mai dimenticare quanto quel brindisi fu tanto speciale! Poi, noi a letto e tutti in camera nostra perché c'era una partita di calcio importante da vedere alla tv.
Al mattino, l'appuntamento con gli accompagnatori era alle 10,00.
Io ero sotto tranquillanti e vagavo come una “zombi”.
Max ed Ettore si occuparono della vestizione del mio amore che, sereno impartiva ancora ordini e consigli: -Non dimenticate qui la carrozzina, la mia giacca, i documenti eh?- Poi gli portai in camera una bella colazione: cappuccino, brioche, macedonia di frutta, cioccolatino.
Lui tranquillamente mangiò tutto.
Non sembrava assolutamente uno che stava per andare incontro alla morte.
Tutti insieme l’accompagnavamo in carrozzina fino alla casetta predisposta per l'accoglienza.
C'era il sole ed una leggera brezza.
Io ero sempre più stralunata.
Ad attenderci c’erano un uomo ed una giovane donna, entrambi molto gentili e preparati.
Ci accolsero in una graziosa stanzetta e, dopo averci fatto accomodare attorno ad un tavolo rotondo, ci fecero parecchie domande.
In particolare chiesero al mio uomo se fosse proprio deciso e se invece non avrebbe voluto ripensarci.
Con la massima determinazione rispose loro che quello che voleva fare sarebbe stato l'unico modo per sconfiggere la sua malattia.
Poi si mise a scherzare e a parlare anche in inglese, cercando di venire in aiuto all’Addetto svizzero che palesemente faticava ad esprimersi in italiano.
Era veramente carico! Anche Ettore fece alcune battute, chiedendogli se poi avrebbe potuto portare anche la suocera.
Poi ci lasciarono finalmente soli ad unire i nostri ultimi pensieri.
Il mio tesoro sdraiato su di un letto pieghevole, mi parlava serenamente e poi lo fece anche con i nostri amici, peraltro molto tesi e consapevoli che a breve, avrebbero assistito a qualcosa di unico.
Chiese loro scusa e li pregò di non uscire, anche se magari, qualcuno di essi forse, non se la sarebbe sentita.
Nessuno di noi uscì: e lui ne fu felice! Io rimanevo avvinghiata a lui su quel suo ultimo letto mentre loro si sistemavano seduti su di un comodo divano, molto attenti a ciò che stava per verificarsi.
Il mio amore, dopo avermi consolata, senza farsi uscire nemmeno una lacrima mi disse: -Amore, sono pronto, e voi dovete ripartire presto; il viaggio è lungo per tornare a casa!- Senza voce chiamai gli Incaricati, i quali dopo avergli fatto bere una sostanza anti-vomito, gli chiesero di fare una dichiarazione per la polizia con la quale esprimeva la sua personale decisione di porre fine alla sua vita.
Non aspettava altro! Era arrivato il momento della sua rivalsa! Venne aperto il flaconcino della medicina liberatoria: un potentissimo sonnifero che fu versato in un bicchierino di plastica.
Il mio uomo, senza alcun ripensamento, lo bevve d’un fiato con grande avidità.
Volutamente tralasciò di addolcirsi la bocca con uno dei cioccolatini messi apposta su di un piccolo vassoio.
Mentre io e Max gli accarezzavamo le mani, dopo pochi istanti lui mi disse: -Ecco, mi sta venendo sonno … - e chiuse i suoi bellissimi occhi verdi.
E' spirato con dolcezza in pochi minuti.
Mi buttai su di lui coprendolo di baci, con le lacrime bagnavo il suo volto e i suoi favolosi occhi chiusi per sempre.
Eravamo tutti attoniti, ma non spaventati! Chiamai l’incaricato, il quale dopo aver constatato il decesso, fece una telefonata di prassi alla Polizia, la quale arrivò dopo poco.
Poi arrivò anche un avvocato, un medico legale ed infine … il carro funebre.
Mentre portavano via il suo corpo, io sentivo che la parte migliore di me se ne stava andando con lui in un furgone grigio.
Non capivo nulla: morivo di dolore ed ero felice! Sì! Ce l'aveva fatta finalmente! Bravo il mio uomo! Bravo a non aver mai accettato che quell'atroce malattia lo riducesse ad una larva prima di portarselo con sé, soltanto quando lo avrebbe deciso lei! Mi spedirono le sue ceneri, ed io aspettavo non vedendo l'ora che arrivassero a casa … la sua casa.
Adesso riposa in un loculo con suo padre.
Ancora adesso, mi sembra tutto un incubo.
Un affettuoso abbraccio.
Raffaella